IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2194/96
 proposto da Magistroni Alessandra, rappresentata e difesa dall'avv.to
 C.  Pascucci ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Milano,
 via Monte Rosa, 67;
   Contro il comune di Milano - sindaco pro-tempore - costituitosi  in
 giudizio,  rappresentato e difeso dalla Avvocatura comunale - con gli
 avvocati  M.R.  Surano,  F.  Garbin  e  R.  Meroni  ed  elettivamente
 domiciliato  presso gli uffici della Avvocatura civica in Milano, via
 Guastalla n. 8, per l'annullamento  del  provvedimento  di  decadenza
 alloggio n.p. atti 360619/5106/95 del 19 marzo 1996 Settore ERP;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Milano;
   Viste  le  memorie prodotte dalle parti costituite a sostegno delle
 proprie relative difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato relatore, alla pubblica udienza del 23 febbraio 1999,  il
 cons. Mario Mosconi;
   Udito, altresi', i patroni presenti delle parti;
   Trattenuto  indi  il ricorso in decisione e ritenuto poi in fatto e
 in diritto quanto segue;
                               F a t t o
   La ricorrente, assegnataria di un alloggio  popolare,  contesta  la
 legittimita'  di  una determinazione dei competenti uffici del comune
 di Milano che la dichiarano decaduta da tale  medesima  assegnazione,
 per  essere  proprietaria  di  un  altro  appartamento  in  Parma che
 assicura un reddito pari all'equo canone ex legge n. 392/1978 per  un
 alloggio adeguato alle esigenze familiari.
   Si  e'  costituita  in giudizio l'intimata amministrazione comunale
 che, ex adverso poi deducendo, ha concluso infine per il rigetto  del
 ricorso.
   All'udienza  del  23  febbraio  1999  la  causa  e' stata spedita a
 sentenza.
                             D i r i t t o
   1.  -  E'  impugnato  avanti  questa  1   sezione   del   tribunale
 amministrativo  regionale  della  Lombardia  - con ricorso in termini
 notificato e depositato - il provvedimento del direttore del  settore
 patrimonio  E.R.P. e assegnazione alloggi del comune di Milano del 19
 marzo 1996  n.p.    atti  360619/5106/95  che  decreta  la  decadenza
 dell'assegnazione di un alloggio della ricorrente.
   Il medesimo cosi' espone:
     il   direttore  del  settore  patrimonio  E.R.P.  e  assegnazione
 alloggi, delegato dal sindaco e domiciliato per il  suo  incarico  in
 via Pirelli n. 39.
   Accertato  che  la  signora  Magistroni  Alessandra assegnataria in
 locazione dell'alloggio n.  43  di  via  Mar  Jonio,  4,  Milano,  e'
 proprietaria  di  unita' immobiliari con un reddito da fabbricati per
 il 1994 di L. 14.450.000 superiore all'equo canone adeguato al nucleo
 familiare dell'assegnataria, che risulta composto da due persone;
   Atteso che il comune di Milano ha contestato alla sig.ra Magistroni
 Alessandra il fatto di cui sopra  con  raccomandata  a  mano  del  24
 novembre 1995, notificata il 13 dicembre 1995;
   Sentito   il   parere  espresso  in  data  1  febbraio  1996  dalla
 Commissione di cui all'art. 6 legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91:
 "La Commissione,  esaminati  gli  atti;  viste  le  note  informative
 dell'istituto  autonomo  case  popolari di Milano, lette le deduzioni
 inviate dall'assegnataria in data 27 dicembre 1995 e  rilevato  dalla
 documentazione  reddituale prodotta che la stessa risulta titolare di
 redditi da fabbricati per un totale di L. 14.450.000, esprime  parere
 favorevole  alla  decadenza  dall'assegnazione ai sensi dell'art. 22,
 lettera e) in relazione all'art. 2, primo comma, punti c) e d)  legge
 regionale n. 91/1983 e successive modificazioni ed integrazioni".
   In conformita' a detto parere.
   Ai  sensi  e  per  gli effetti dell'art. 22 della legge regionale 5
 dicembre 1983, n.  91  e  successive  modificazioni  e  integrazioni,
 dichiara  la  decadenza  dell'assegnazione dell'alloggio n. 43 di via
 Mar Jonio, 4 nei confronti della  sig.ra  Magistroni  Alessandra  con
 conseguente  risoluzione di diritto del contratto di locazione, e per
 l'effetto intima alla sig.ra Magistroni Alessandra (nata il 26  marzo
 1929 a Milano) di rilasciare l'alloggio sopra indicato libero e vuoto
 di  cose e persone, anche interposte, entro e non oltre trenta giorni
 dalla notifica del presente decreto con avvertenza che,  in  difetto,
 si procedera' ad esecuzione forzata a norma di legge nei confronti di
 chiunque  occupi  l'alloggio,  costituendo  il  presente  atto titolo
 esecutivo non soggetto a graduazioni o proroghe.
   Entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla  notifica  del
 decreto   e'  ammesso  ricorso  avanti  il  tribunale  amministrativo
 regionale, a norma della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
   2. - Questi motivi di censura:
     a) erronea applicazione della  legge  regionale  n.  91/1983,  in
 quanto  -  scartata  la  fattispecie di cui al p.c. dell'art. 2 della
 stessa - per il p.d., attinente, in ipotesi, al caso di  specie,  non
 vi  sarebberro le condizioni utili, poiche' non si terrebbe conto che
 la legge n. 359/1992, liberalizzando i canoni  di  locazione  ha,  di
 fatto,  scompaginato  i  criteri di valutazione di cui sopra; infatti
 l'equo canone risulterebbe, ormai, superato e  non  piu'  proponibile
 come parametro di riferimento ai fini de quibus.
     b)  violazione  di  legge n. 91/1983, art. 21-22 della stessa, in
 quanto non sarebbero state acquisite le deduzioni della ricorrente ed
 in quanto il parere  della  competente  Commissione  sarebbe  tardivo
 poiche' dato oltre i trenta giorni prescritti.
     c)  infine   si sostiene che le specifiche condizioni di famiglia
 non sarebbero state correttamente  valutate  ex  art.  31,  legge  n.
 104/1992.
     d)  ove  detti  vizi  non fossero rilevalibi viene, in subordine,
 sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22,
 secondo  comma,  lettera e) in connessione con l'art. 2, primo comma,
 lettera d) della legge regionale 5 dicembre 1993, n. 91 in  relazione
 agli  art.  3,  29  e  38 della Costituzione; cio' in quanto, tramite
 l'applicazione   di   tali   articolati   normativi   regionali,   si
 violerebbero  i  dettati canoni di uguaglianza, di ragionevolezza, di
 solidarieta' sociale, di  non  discriminazione  e  di  valorizzazione
 della famiglia.
   3.  -  In  ordine  al  terzo motivo di doglianza di cui sub 2-c, si
 osserva che il richiamo  all'art.  31  della  legge  n.  104/1992  e'
 inconferente  data  la funzione e la particolare ratio - all'evidenza
 desumibile - dal disposto  contenuto  nella  stessa  norma  di  legge
 evocata e dalla stessa legge.
   Quanto  al  fatto  che la Commissione si sia riunita, in ritardo, e
 cio' con riguardo alla doglianza sub 2-b enunciata, questo, anche  in
 teoria,  non  puo'  essere  stato  che  vantaggioso, sotto il profilo
 temporale, per la ricorrente stessa. Senza contare che, nella specie,
 il termine de quo appare meramente sollecitatorio.
   Infine, e per concludere in  ordine  a  tale  medesimo  2  capo  di
 censura,  risulta,  per atti, che la ricorrente e' stata sentita e, a
 quanto dalla stessa enunciato, appare sufficientemente controdedotto.
   4. - Residuano percio' in forma strumentale i prospettati  sospetti
 di  incostituzionalita'  dell'art.  2,  primo comma, lettera d) della
 legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91 in connessione con l'art.  22,
 primo comma, lettera e) della medesima legge regionale.
   4.1.  -  E  se  e'  manifesta la infondatezza di rilievi mossi alla
 stregua degli artt. 29 e 38  della  Costituzione,  diversamente  deve
 dedursi con riguardo all'art. 3 della medesima Costituzione, anche in
 relazione  al vizio avanzato con il primo motivo. Mentre d'ufficio ci
 si muove con riguardo agli artt. 117 e 118 della stessa Costituzione.
   4.2. - Si rileva, al riguardo  che,  col  provvedimento  impugnato,
 l'amministrazione   comunale   ha   dichiarato   la  decadenza  della
 ricorrente dall'assegnazione di un alloggio in  Milano,  con  effetto
 della  perdita del requisito per l'assegnazione previsto dall'art. 2,
 primo comma, lettera d), della legge regionale Lombardia  5  dicembre
 1983,  n.  91, il quale dispone che possa concorrere all'assegnazione
 di un  alloggio  di  edilizia  residenziale  pubblica  "chi  non  sia
 titolare  del diritto di proprieta' o di altri beni immobili, ubicati
 in  qualsiasi  localita',  che  consentano  un  reddito  almeno  pari
 all'ammontare  del  canone  di  locazione, determinato ai sensi della
 legge  27  luglio  1978,  n.  392,  concernente  ''Disciplina   delle
 locazioni   di   immobili   urbani   e   successive  modificazioni  e
 integrazioni'',  di  un  alloggio  adeguato  con   condizioni   medie
 abitative,  come definite al successivo secondo comma; l'ammontare di
 tale canone di  locazione  e'  determinato  dal  comune  in  sede  di
 indizione del bando di concorso in conformita' ai coefficienti di cui
 al successivo secondo comma".
   4.3.  - Ma, esaminata la vicenda alla luce della deliberazione CIPE
 13 marzo 1995, la sezione ritiene di dover proporre,  come  premesso,
 questione   di   costituzionalita'  nei  limiti  della  citata  norma
 regionale, la quale estromette, appunto dall'alloggio  soggetti  che,
 indipendentemente  dal  reddito  complessivo  di  cui  godono,  siano
 titolari, in qualsiasi localita'  del  territorio  nazionale  esterna
 all'ambito  territoriale  a cui si riferisce il bando, di immobili da
 cui sia ricavabile un reddito pari  al  canone  di  locazione  di  un
 alloggio adeguato alle loro esigenze abitative.
   4.3.1. - Invero, con riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., appare
 non  manifestamente infondato il dubbio sulla conformita' della legge
 regionale rispetto  ai  criteri  generali  fissati  dallo  Stato.  La
 deliberazione  CIPE di cui sopra (nella Gazzetta Ufficiale 27 maggio,
 n. 122), adottata ai sensi dell'art. 88 d.P.R.  24  luglio  1977,  n.
 616,  e  dell'art.    2,  comma 2, della legge 5 agosto 1978, n. 475,
 prende  in  considerazione,  infatti,  soltanto   la   "mancanza   di
 titolarita'  di diritti di proprieta', usufrutto, uso e abitazione su
 alloggio adeguato alle esigenze  del  nucleo  familiare"  (art.  3.1,
 lettera  c)  e  non  su  qualunque  alloggio, dovunque si trovi, o su
 qualunque immobile.
   4.3.2. - In riferimento poi all'art.  3  Cost.,  appare  di  dubbia
 legittimita'  costituzionale  la  citata  norma regionale, in quanto,
 posto un limite di reddito come indice dello  stato  di  bisogno  per
 l'ammissione  a  certe prestazioni sociali, dovrebbe essere del tutto
 irrilevante  il  riferimento  alla  natura  e  alla  provenienza  del
 reddito.      In   base   a   tale   principio   e'  stato  giudicato
 costituzionalmente  illegittimo  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,
 l'art. 43, comma 2, legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui,
 per  l'ipotesi  di  redditi  del  genitore  "a  carico" non derivanti
 esclusivamente  da  pensione,  stabiliva  un   limite   ostativo   al
 conseguimento  del  diritto agli assegni familiari, diverso da quello
 imposto  per l'ipotesi di redditi provenienti solo da pensione (Corte
 cost. 14 gennaio 1986, n. 8).
   4.3.3.  -  Se,  inoltre,  si  ritenesse   giustificato   attribuire
 un'autonoma  rilevanza  al  patrimonio  da  cui  il  reddito  deriva,
 apparirebbe ancora di dubbia  legittimita'  costituzionale  la  norma
 regionale  in esame, in quanto essa prende in considerazione soltanto
 i diritti reali su immobili e non altre  componenti  del  patrimonio,
 come,  ad  esempio, depositi bancari, titoli azionari e obbligazioni,
 ecc., mentre la citata deliberazione del CIPE, ai fini del limite  di
 reddito,  equipara tutte le fonti di reddito, ad eccezione del lavoro
 dipendente, per cui  prevede  un  abbattimento  del  40%  richiamando
 l'art.  21,  primo  comma,  della  legge  n.  457  del 5 agosto 1978,
 sostituito dall'art.  2, d.-l. 23 gennaio 1982, n. 9.
   4.3.4.   -   Infine   la   legge   regionale   appare   di   dubbia
 costituzionalita',  ancora  in  riferimento  all'art.  3 Cost., nella
 parte in cui continua a rinviare,  per  l'ammontare  del  reddito  da
 immobili  ritenuto sufficiente ad assicurare un'adeguata sistemazione
 abitativa,  alla  legge  statale  sull'equo  canone,  sostanzialmente
 superata dall'introduzione dei c.d. patti in deroga (art. 11 d.-l. 11
 luglio  1992,  n.  333,  convertito  con  modificazioni dalla legge 8
 agosto 1992, n. 359).
   Tanto annotato e come premesso, per la decisione  del  ricorso  non
 puo'   percio'   prescindersi  dalla  pronuncia  sulla  questione  di
 legittimita' della norma regionale su cui si fonda  il  provvedimento
 impugnato;  conseguentemente  si devono rimettere gli atti alla Corte
 costituzionale ai sensi dell'art. 23, 1 marzo 1953, n. 87.